Contratto preliminare e inadempimento grave: legittimo il recesso e il diritto al doppio della caparra.
Con sentenza n. 736/2025, del 12 febbraio 2025, il Tribunale di Torino ha riconosciuto il legittimo recesso ex art. 1385, co. 2, c.c. esercitato da una società promissaria acquirente a seguito del grave inadempimento contrattuale da parte della società promittente venditrice, condannata alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria (€ 150.000,00).
Le parti in data 16 dicembre 2021 avevano stipulato un contratto preliminare di compravendita immobiliare, fissando la data del rogito nella data del 30 giugno 2022 successivamente prorogata al 15 settembre 2022.
Il venditore si era obbligato (artt. 5 e 6 del preliminare) a garantire la regolarità urbanistica e catastale dell’immobile e a fornire il certificato di abitabilità. Tuttavia, alla scadenza del termine essenziale, l’immobile presentava gravi irregolarità edilizie e catastali, documentate dal notaio rogante e da un tecnico di parte, e l’atto non veniva stipulato.
Il Tribunale ha ritenuto che l’omessa attivazione tempestiva per la regolarizzazione delle difformità, protrattasi per 10 mesi, configurasse un inadempimento di non scarsa importanza (art. 1455 c.c.), lesivo dell’affidamento dell’acquirente e della regolarità dell’operazione. La venditrice, pur consapevole della complessità burocratica delle sanatorie, aveva atteso fino a settembre 2022 per avviare le relative pratiche.
Richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Un. 553/2009 e Cass. n. 18392/2022), il giudice ha ribadito la compatibilità tra la risoluzione automatica del contratto per scadenza del termine (art. 1457 c.c.) e il recesso della parte non inadempiente con conseguente richiesta del doppio della caparra, quando l’effetto risolutorio si è già perfezionato per via extragiudiziale.
È stato quindi escluso il cumulo tra risoluzione giudiziale (art. 1453 c.c.) e recesso con caparra, ma affermata l’ammissibilità della domanda subordinata fondata sul recesso legittimamente esercitato.
La sentenza rappresenta un solido precedente in materia di contratto preliminare, tutela dell’affidamento negoziale, buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) e responsabilità per inadempimento contrattuale, anche in ambito immobiliare.
La parte venditrice è stata pertanto condannata al pagamento del doppio della caparra ricevuta, nonché al pagamento delle spese di lite, confermando il principio secondo cui il contraente inadempiente non può trarre beneficio dalla propria negligenza.
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Cassazione Civile, Sez. II, Ord. 10/04/2025 n. 9399: risoluzione del contratto per inadempimento e valutazione della gravità ex art. 1455 c.c..
La sentenza n. 9399/2025 della Suprema Corte di Cassazione si inserisce nel filone giurisprudenziale in tema di risoluzione del contratto per inadempimento (art. 1453 e 1455 c.c.), offrendo chiarimenti significativi su come il giudice debba valutare la gravità dell’inadempimento.
Nel caso concreto, la controversia nasce da un contratto preliminare di vendita immobiliare del 2007 tra Alfa Srl e Beta Srl, avente ad oggetto una serie di immobili da ristrutturare. Beta Srl aveva chiesto la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo, mentre Alfa Srl aveva proposto domanda riconvenzionale di risoluzione, con diritto a trattenere le somme ricevute.
La Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato la risoluzione del contratto per inadempimento di Alfa Srl, ritenendo la sua condotta non conforme a buona fede (art. 1375 c.c.), in particolare per non aver concordato la data del rogito.
Alfa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando la mancata valutazione della gravità dell’inadempimento, come richiesto dall’art. 1455 c.c..
La Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, ribadendo che il giudice di merito deve motivare la gravità dell’inadempimento, anche d’ufficio, e non può desumere automaticamente la risoluzione da una domanda speculare di controparte. Viene richiamato il principio per cui la gravità si valuta in rapporto all’interesse della parte adempiente alla regolare esecuzione (Cass. n. 7187/2022; Cass. n. 8220/2021).
La Corte ha quindi cassato la sentenza d’appello e rinviato per un nuovo esame, precisando che:
- la valutazione della gravità dell’inadempimento è imprescindibile (art. 1455 c.c.);
- non è sufficiente richiamare in modo tautologico le motivazioni di primo grado;
- occorre un esame comparativo del comportamento delle parti, ai sensi degli artt. 1455, 1362, 1366 c.c..
La sentenza offre un monito per i giuristi e gli operatori del diritto: in caso di inadempimento contrattuale, il giudice non può limitarsi a dichiarazioni generiche, ma deve analizzare ogni circostanza rilevante per giungere a una decisione equa e fondata.
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Per il calcolo dell’assegno di mantenimento conta il reale tenore di vita, non solo i redditi dichiarati.
Con l’ordinanza n. 11611 del 3 maggio 2025, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, ha ribadito un principio centrale in tema di separazione: per stabilire l’assegno di mantenimento al coniuge, il giudice non può basarsi solo sui redditi dichiarati, ma deve ricostruire in modo concreto il tenore di vita goduto durante il matrimonio.
La decisione si fonda sull’art. 156, comma 2, del Codice Civile, che prevede che l’assegno debba essere proporzionato alle necessità del coniuge e alle possibilità dell’altro, tenendo conto del tenore di vita pregresso.
La Suprema Corte chiarisce che questa valutazione deve includere beni mobili e immobili, redditi non dichiarati, e persino elementi indiziari, grazie anche a indagini tributarie o consulenze tecniche d’ufficio (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9915 del 24/04/2007; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22616 del 19/07/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 32349 del 13/12/2024).
Nel caso specifico, il giudice d’appello aveva riconosciuto un assegno senza descrivere il reale stile di vita della coppia né le condizioni economiche successive alla separazione.
La Cassazione ha quindi annullato la decisione per motivazione carente, ribadendo che l’assegno deve garantire equilibrio economico tra i coniugi dopo la separazione.
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L’interesse attuale del minore prevale su quello originario.
Con l’ordinanza n. 14460 del 30 maggio 2025, la Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ha respinto il ricorso di una madre che lamentava la mancata assegnazione della casa coniugale, pur essendo la figlia minorenne collocata presso di lei.
La vicenda trae origine da una separazione personale tra i coniugi, con affidamento condiviso della figlia minore collocata stabilmente presso la madre.
La casa familiare, tuttavia, non era stata assegnata alla donna, poiché la stessa aveva abbandonato l’immobile a causa di gravi tensioni familiari, trasferendosi con la figlia, dove aveva consolidato un nuovo contesto affettivo e scolastico.
La Corte d’Appello di Roma, confermando quanto stabilito in primo grado, ha negato l’assegnazione dell’abitazione, ritenendo superato l’interesse del minore alla conservazione dell’habitat originario, in favore del radicamento nella nuova realtà domestica.
Nel ricorso per cassazione, la madre ha invocato l’art. 337-sexies c.c., sostenendo che il godimento della casa familiare debba essere prioritariamente attribuito al genitore presso cui è collocato il minore, salvo che non vi siano soluzioni alternative più conformi all’interesse della prole.
Secondo la ricorrente, il lasso di tempo trascorso nella nuova casa non poteva giustificare il consolidamento di una situazione antigiuridica, determinata dalle lungaggini processuali.
La Suprema Corte ha respinto il motivo di ricorso ritenendo infondata la doglianza: il giudice del merito ha correttamente fatto applicazione del principio di diritto invocato, attualizzandolo alla luce dell’interesse concreto della minore.
Dopo sei anni di vita nel nuovo contesto familiare, scolastico e sociale, il ritorno nella casa coniugale – peraltro teatro di aspre conflittualità – avrebbe comportato un trauma, nonché una cesura nella rete affettiva che nel tempo si era stabilmente consolidata.
In linea con Cass. n. 23501/2023, la Corte ribadisce che l’interesse del minore deve essere valutato nella sua attualità, essendo suscettibile di evoluzioni e mutamenti che non possono essere ignorati.